Michelangelo Buonarroti (1475-1564)
“Il benignissimo rettore del Cielo volse clemente gli occhi da terra, e veduta la vana infinità di tante fatiche, gli ardentissimi studi senza alcun frutto, e la opinione prosuntuosa degli uomini, assai pù lontana dal vero che le tenebre della luce; per cavarci di tanti errori, si dispose mandare in terra uno spirito, che universalmente in ciaschedùna arte ed ogni professione fusse abile, operando per sé solo a mostrare che cosa sia la perfezione dell’arte del disegno […], per dare rilievo alle cose della pittura, e con retto giudizio operare nella scultura, e rendere le abitazioni còmmode e sicure, sane, allegre, proporzionate, e ricche di vari ornamenti nell’architettura. volle oltre ciò accompagnarlo della vera filosofia morale con l’ornamento della dolce poesia […] perché da noi piuttosto celeste che terrena cosa si nominasse”.
Cosi l’artista e scrittore aretino, Giorgio Vasari, descrive la nascita di Michelangelo Buonarroti, una delle menti più geniali del Rinascimento maturo italiano. Egli nacque il 6 marzo 1475 a Caprése, cittadina dell’aretino, sottoposta alla podestà del padre Ludovico.
Michelangelo, come ricorda Vasari, fu un artista completo che si dilettò in pittura, scultura e architettura, eccellendo in particolare nell’arte del disegno, collocato alla base di ogni suo lavoro, in quanto concreta rappresentazione di ciò che l’artista ha nella sua mente. Fu proprio questa disciplina a consacrarlo a vera benedizione dal Cielo, ordinatrice della “vana infinità di tante fatiche” degli artisti venuti prima di lui.
Il Buonarroti entrò a bottega da Domenico Ghirlandaio nel 1488, ma sin dall’inizio non sembrò interessarsi di pittura contemporanea, e si dedicò invece con passione allo studio dell’arte moderna toscana – Giotto in Santa Croce e Masaccio al Carmine in particolare -, unitamente allo studio della scultura antica, ammirabile nell’ampia collezione medicea alla quale ebbe accesso a soli tredici anni. Il nostro artista aveva mostrato fin da subito il suo precoce talento, attirando l’attenzione di Lorenzo il Magnifico che lo accolse presso di sé (1488-1490), fornendogli così l’opportunità di frequentare l’ambiente intellettuale di Palazzo Medici. Alla corte del grande mecenate fiorentino, Michelangelo fu libero da necessità economiche e poté dedicare tutto il suo tempo allo studio e allo scambio intellettuale con gli umanisti della cerchia del Magnifico, dai quali rimase affascinato.
Dopo una prima esperienza fiorentina, egli si spostò numerose volte a Roma dove si trasferì definitivamente nel 1534.
Nel corso della sua lunga vita (morì il 18 febbraio 1564 a ottantanove anni), le vicende storiche e l’approfondimento degli studi, influenzarono costantemente il suo pensiero e in particolare la sua concezione dell’arte, che dall’indagine scientifica della natura, tipica del Rinascimento, si evolse verso quello che considerava il vero modello di bellezza: il corpo umano. Buonarroti capì che una fedele imitazione della natura non era sufficiente a rappresentare la bellezza, ma da questa occorreva scegliere le cose migliori. Inoltre era convinto che con la fantasia l’artista fosse capace di dare vita a una bellezza superiore a quella esistente in natura. Per questo il corpo umano era per lui ciò che di più perfetto esisteva nel creato, in quanto manifestazione terrena della bellezza divina, da rappresentare esasperandone le forme, la muscolatura, i movimenti e gli affetti.
Questa concezione si evolse nuovamente a causa dei tumulti provocati dalla Riforma protestante, dal successivo Sacco di Roma, nel 1527, e dalla conseguente propaganda dei gruppi di riformisti che provocarono la caduta dei tradizionali valori cristiani. Da questi eventi Michelangelo uscì molto provato e trovò rifugio proprio nella spiritualità e nella religione; per l’artista la bellezza fisica non era più fine a sé stessa, ma divenne il mezzo per condurre l’uomo alla contemplazione della bellezza divina e spirituale. In questo modo l’arte del Buonarroti si piegò completamente al servizio della Chiesa, e l’artista stesso si fece esempio di integrità e profonda devozione.
Alla fine della sua carriera, l’esperienza pittorica di Michelangelo si estremizzò ancora di più, mostrando come egli fosse completamente avvolto dai nuovi dogmi della Controriforma; la bellezza del corpo umano infatti non era più un tramite per rendere intellegibile il mondo celeste, ma divenne qualcosa che distoglieva l’uomo dalla sua spiritualità.
La profonda sensibilità del Buonarroti è racchiusa in tutta la sua produzione artistica, sia pittorica, sia scultorea, sia architettonica. Degni di essere ricordati sono capolavori come la Pietà (1488-1499), il David (1501-1504), il Tondo Doni ( ca. 1504), la Tomba di Giulio II (1513-1545), il progetto della Sagrestia Nuova di San Lorenzo e della Biblioteca Laurenziana (1519-1534), la sistemaione della Piazza del Campidoglio (1537), il rinnovo della Basilica di San Pietro (1547) e la Pietà Rondanini (1552-1564).
Capolavoro assoluto del maestro rimane però il monumentale apparato pittorico che decora la Cappella Sistina nel Palazzo Apostolico a Roma, eretta per volontà di papa Sisto IV, su progetto di Baccio Pontelli. Lo spazio sacro venne compiuto nel 1480, ed ancora oggi si presenta come un’aula rettangolare, coperta da una volta a botte ribassata. Le pareti sono divise da marciapiani in quattro livelli, ognuno dei quali accoglie diversi cicli pittorici, mentre una transenna divide lo spazio in due zone rispettivamente destinate al clero e ai fedeli.
Già altri artisti prima di Michelangelo lavorarono alla decorazione pittorica della cappella. Vennero scelti i più illustri esponenti del primo Rinascimento, ovvero Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli Pietro Perugino, e, più tardi, Luca Signorelli. Essi realizzarono delle finte cortine di stoffa sul livello più basso delle pareti laterali (in parte coperti da dieci arazzi con Storie di San Paolo e Pietro, voluti da Leone X e realizzati a Bruxelles dal fiammingo Pieter Van Aelst nel 1519, su cartoni di Raffaello ); più in alto erano distribuite due serie di affreschi con Storie di Mosè e Storie di Cristo, che partendo dalla parete dietro l’altare, percorrevano tutto il perimetro della chiesa, incontrandosi sopra la porta d’ingresso della cappella. Lungo il terzo livello erano affrescati i ritratti dei primi trenta pontefici, mentre il soffitto era ornato da un cielo stellato e la parete dietro l’altare era completata da una pala ad affresco con l’Assunzione della Vergine di Perugino.
Il messaggio storico, politico e giuridico trasmesso da queste pitture, terminate nel 1483, era volto a celebrare la Chiesa romana, l’autorità del papa sugli antagonisti interni alla Chiesa, oltre alla sua superiorità rispetto al potere laico.
Il cielo stellato del soffitto e l’affresco del Perugino non sono più visibili perché vennero sostituiti rispettivamente dagli episodi della Genesi con Sibille, Profeti e Antenati di Cristo e dal maestoso Giudizio Universale, tutti di Michelangelo. Questi dipinti realizzati in due fasi successive mostrano l’evoluzione filosofica, spirituale e artistica del maestro toscano.
Gli affreschi della volta furono dipinti tra il 1508 e il 1512, su commissione di Giulio II de’ Medici. L’artista concepì questo ciclo come una monumentale struttura architettonica popolata di figure massicce, nudi virili e scene figurate. Il ciclo figurativo è suddiviso in tre registri sovrapposti e scanditi dalla riproduzione pittorica dello scheletro architettonico della volta: cinque grandi archi che scaricano il loro peso sui pennacchi modellati in forma di troni e collegati tra loro da una trabeazione. Il primo registro è costituito da nove riquadri con Storie della Genesi, dalla Creazione all’Ebbrezza di Noè, mentre le cornici architettoniche ospitano coppie di ignudi reggenti medaglioni figurati. Il secondo registro è impreziosito dai troni dei Profeti e delle Sibille, mentre il terzo inquadra gli Antenati di Cristo. La più famosa di queste scene è la Creazione di Adamo , immagine nella quale il Buonarroti, attraverso Dio assume sembianze umane e con gesto imperioso crea Adamo, diede vita al suo ideale estetico: la realizzazione di corpi perfetti, proporzionati e maestosi che riflettono la bellezza divina.
Nel Giudizio Universale (commissionato alla fine del pontificato di Clemente VII e realizzato sotto Paolo III Farnese, tra il 1537 e il 1541) la valenza estetica della figura umana, che domina gli affreschi della volta, è sopraffatta dalla rappresentazione dell’angoscia personale dell’artista di fronte alla tremenda sentenza divina e all’incertezza della salvezza. Michelangelo è sopraffatto dalla ventata di severa rigidità che dominava gli anni della Controriforma, durante i quali vennero rimessi in discussione tutti gli ideali morali e intellettuali che avevano dominato il Rinascimento. Gli stessi ideali di cui il pittore era diventato il più grande rappresentante in campo artistico e per i quali ora non sembra aver mai nutrito interesse.
La figura umana rimane l’elemento centrale dell’illustrazione, ma questa volta i corpi non sono più una rappresentazione terrena della grandezza divina; essi vengono invece dipinti nella loro umana miseria, le membra sono nude e pesanti, le espressioni dei salvati (a sinistra) attonite e disorientate, mentre quelle dei dannati (destra) sono angosciate e disperate. Questi ultimi vengono trascinati in basso da creature diaboliche per essere ammassati in luoghi di dolore da Caronte, sotto lo sguardo terribile del Cristo Giudice. Tutti i personaggi si stagliano, addensati in gruppi disarticolati e privi di ordine e armonia, su un cielo turchino sfornito di qualsiasi sistema proporzionale e prospettico tipico della tradizione rinascimentale. I loro movimenti sono esasperati e pervasi da un vorticoso dinamismo, accentuato dall’uso di una strettissima gamma di colori, composta da due toni (il bruno di corpi e il turchino del cielo), che rendono l’atmosfera ancora più minacciosa.
Tutta la produzione pittorica, scultorea e architettonica di Michelangelo fu fondamentale per lo sviluppo di un nuovo fenomeno artistico che investì l’arte del secondo Rinascimento: il Manierismo. Particolare successo riscosse la figura ‘serpentinata’, ovvero la raffigurazione di corpi umani in una posa fortemente dinamica, quasi forzata, con braccia, gambe, testa e busto disposti in direzioni contrapposte. Questa maniera singolare e innovativa ispirò tutti gli artisti della seconda metà del XVI secolo, sia italiani sia stranieri, i quali si recavano a Roma, e in particolare nella Cappella Sistina, proprio per ammirare i suoi capolavori.