“I quadri non rappresentativi” di Piet Mondrian
Armonia ed equilibrio formale. Così potremo definire l’opera di Piet Mondrian, artista olandese fondatore insieme all’architetto e pittore Theo van Doesburg del movimento denominato “Neoplasticismo”.
I così denominati “quadri non rappresentativi” sono l’abbandono definitivo della figura e della forma astratta che trova altesì esistenza in una nuova dimensione reale tra spazi e campiture composte da colori primari.
L’essenza della realtà attraverso la rappresentazione geometrica avviene attraverso un’evoluzione stilistica e personale che porta l’autore a sperimentare generi e stili differenti. Mondrian è influenzato all’inizio della sua carriera dall’Impressionismo, i suoi primi dipinti infatti, ricordano da vicino la cifra naturalistica del paese natio. Mulini, alberi, fiumi portano già dentro il germe della sperimentazione. I colori primari diventano predominanti e pur mantenendo la rappresentatività delle forme paesaggistiche, Mondrian si spinge oltre, fino ad arrivare ad una vera ricerca panteistico spirituale. L’essenza delle cose si manifesta attraverso le forme stesse.
Sarà l’incontro con il Cubismo a dare nuova linfa al lavoro dell’artista e nella sua ulteriore produzione la presenza di piani incastrati daranno vita a rigide figure geometriche. Ispirato dal desiderio di superamento dello spazio senza illusione prospettica e dalla scomposizione delle figure il pittore distrugge come già avveniva con Gaugain e Cèzanne, l’unicità del punto di vista.
Con Mondrian il punto di vista si trasla su una superficie piatta che diventa una combinazione ragionata di linee e colori. La natura stimola l’atto creativo, ma non necessita più di essere rappresentata. In primo piano ora, c’è la ricerca dell’essenza, l’astrazione completa della realtà che diventa forma geometrica racchiusa dal colore. E’ attraverso le linee ortogonali che l’emozione si forma e si muove, in quel ritmo armonico che crea l’essenza stessa della bellezza.
La diagonale intesa come sintesi viene abolita già a partire dagli anni venti. Quello che il pittore ricerca è la precisione tra orizzontale e verticale considerato come il principio stesso della vita e della realtà. La pittura deve raccogliere l’essenza statica dell’essere perché il divenire altro non è che l’espressione della tragicità della vita. Il ciclo di dipinti Newyorkesi contraddice però la sua produzione precedente abolendo completamente il nero (non colore insieme al bianco). Qui ritorna il divenire come un novello spirito vitale che lo accompagnerà nell’ultima fase della sua vita.
Dott. Christian Humouda